Rimodulazioni Vodafone, TIM, Wind e 3 Italia

Era davvero ora che l’AGCOM dicesse la sua sulla scottante questione delle rimodulazioni Vodafone, TIM, Wind e 3 Italia  che imperversano nelle ultime settimane: è risaputo come un po’ tutti i vettori stiano applicando dei cambi di contratto unilaterali che, a danno dei clienti, portano ad una spesa telefonica mensile maggiore di quanto stabilito in un primo momento. Proprio sulla faccenda, ora l’Autorità ribadisce che in questi casi la richiesta di portabilità ad altro vettore è lecita e che questa non deve comportare alcuna penale o costo extra.

In sostanza, il fatto che i 4 vettori nostrani propongano la rimodulazione di tariffe base (come nel caso di Vodafone) o di veri e propri piani (come nel caso di 3 Italia), rientra nei “diritti” dell’operatore, a patto che la comunicazione agli interessati giunga almeno 60 giorni prima della modifica. Questo purtroppo è un dato di fatto. Quello che l’AGCOM sottolinea, però, è che in caso di richiesta di portabilità alla concorrenza, non devono mai essere applicate penali agli utenti.  Non sono state poche, fino ad ora, le richieste di rimborso dei costi promozionali, ossia della differenza tra il reale valore di un’offerta telefonica e quello che per una particolare campagna pubblicitaria è stata applicata in un determinato momento. la pratica è del tutto illecita e il discorso vale per qualunque brand da questo momento in poi. A tal proposito Antonio Nicita, commissario dell’AGCOM parla di nuova disciplina valida per tutti: le uniche spese extra richiedibili con il passaggio ad altro brand, sono semmai le rate residue degli smartphone o altro hardware  preso in abbonamento.

L’intervento dell’Autorità partito dopo le segnalazioni relative alle rimodulazioni TIM e Fastweb delle ultime settimane, si allarga dunque anche a Vodafone, Wind e 3 Italia. Peccato che lo scorso mese ci sia stata la pronuncia sulla necessità di tornare ad una tariffazione a 30 giorni solo per le utenze di linea fissa ma non per quelle mobili (che restano dunque contrattualizzate a 28 giorni). A parte l’intervento odierno, sarebbe l’ideale un intervento anche in tal senso.

Cassazione, niente risarcimento se la buca si trova sulla strada di casa

Ancora una sentenza della Corte di Cassazione, in materia di insidie stradali, da cui emerge che non basta la presenza di una buca sulla strada per far scattare il diritto al risarcimento del danno.

Occorre infatti tenere conto anche dell’elemento soggettivo della prevedibilità di un’insidia.

Per questo se il dissesto si trova su una strada che il danneggiato conosce bene, questi è tenuto a prestare attenzione e non può addebitare alla pubblica amministrazione ciò che è dovuto alla propria disattenzione.

Inizialmente il Giudice di Pace aveva condannato l’ente pubblico al risarcimento del danno ma il verdetto veniva ribaltato in sede d’appello. Anche la Cassazione (ordinanza n. 13930/15 depositata oggi) ha confermato la decisione di secondo grado.

Insomma la caduta è attribuibile alla disattenzione della donna che conoscendo bene la strada in cui era presente la buca, avrebbe dovuto prestare attenzione ed evitarla.

La danneggiata aveva sostenuto che quella buca avesse i requisiti della cosiddetta “insidia o trabocchetto” ma per ottenere il risarcimento del danno, occorre anche considerare la possibilità che l’utente ha di evitarla.

Era infatti emerso nel corso del giudizio che l’infortunio era avvenuto in pieno giorno e nella strada in cui abitava e che quindi conosceva bene.

Proprio il fatto di conoscere le condizioni di dissesto della strada avrebbe dovuto indurre la danneggiata a prestare attenzione per evitare la buca che oltretutto aveva dimensioni tali da poter essere facilmente avvistata ed evitata.

Secondo la ricorrente la sentenza di appello “avrebbe errato nell’applicare l’art. 2051 cod. civ., sul rilievo che, essendo la strada dove la caduta è avvenuta inserita nel pieno centro cittadino di Ancona, sul Comune gravava il relativo obbligo di custodia; ed aggiunge che la sentenza avrebbe confuso le norme degli artt. 2043 e 2051 cod. civ., dimenticando che sul custode grava una responsabilità oggettiva”.

La Suprema corte però osserva che “a prescindere dall’inquadramento della fattispecie nell’una o nell’altra delle disposizioni appena richiamate, assume nella specie decisiva rilevanza il fatto che la sentenza impugnata ha attribuito la responsabilità del fatto dannoso ad esclusiva colpa” della danneggiata “riconducibile alla sua disattenzione nella circostanza della caduta”.

Nella sentenza la Cassazione richiama anche alcuni precedenti giurisprudenziali in cui si è riconosciuto che “ai fini di cui all’art. 2051 cod. civ., il caso fortuito può essere integrato anche dalla colpa del danneggiato, poiché la pericolosità della cosa – nella specie, il dissesto stradale – specie se nota o comunque facilmente rilevabile dal soggetto che entra in contatto con la stessa, impone un obbligo massimo di cautela, proprio poiché il pericolo è altamente prevedibile”.

Ed è proprio tale prevedibilità, conclude la Corte, che risulta “sufficiente ad escludere la responsabilità del custode anche ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. (sentenze 22 ottobre 2013, n. 23919, e 20 gennaio 2014, n. 999)”.

Tutor, il giudice di pace sentenzia: “Niente multa senza foto”

Senza l’immagine la notifica è incompleta. Sentenza del giudice di pace di Alessandria dopo una contestazione della stradale per un’infrazione sulla A26.

“Non c’è la prova”. Questa è stata la motivazione con cui è stato accolto ad Alessandria il ricorso di un’azienda per una multa subita da una sua auto di servizio sorpresa oltre il limite di velocità dal “tutor” sul tratto Genova-Alessandria-Gravellona Toce della A26. Questo porterà ad una nuova interpretazione della regola poichè non sarà più valida una multa per eccesso di velocità contestata tramite il sistema dei “Tutor”, le telecamere collocate in sequenza sull’autostrada che permettono di calcolare la velocità media di ogni auto, se nella notifica della polizia stradale non viene inviato il fotogramma della vettura in questione. Il giudice ha accolto le richieste degli avvocati difensori della ditta Giuseppe Maria Gallo e Francesca Meus che avevano sottolineato come in mancanza dell’invio dei rilievi fotografici mancava la prova della violazione. Il giudice di pace ha accolto questa motivazione annullando la sanzione.
Il Sistema Informativo per il controllo delle velocità (SICVE), più comunemente noto come tutor, è il primo sistema che permette di rilevare la velocità media dei veicoli su una tratta autostradale di lunghezza variabile: un sistema che si occupa di programmare l’attivazione e di accertare le violazioni del Codice della Strada. Sono tanti gli italiani che ogni giorno vengono multati per eccesso di velocità: eccessi di velocità contestati tramite il sistema dei “Tutor”, le telecamere collocate in sequenza sull’autostrada che permettono di calcolare la velocità media di ogni auto. Questo ricorso in parte rivoluziona il sistema dei “tutor”, costretti quindi a inviare anche il fotogramma dell’auto alla quale è stata calcolata una velocità media superiore a quanto indicato.

Bollette energia elettrica e gas. Cosa possono (e non possono) fare i gestori quando il cliente è moroso

Accade spesso di vedersi addebitare in fattura importi genericamente indicati come “altre voci comprese nella bolletta elettrica”, oppure che si vedono rifiutare il cosiddetto switching (il passaggio ad altro gestore), o ancora che si vedono staccare la fornitura.
Di per sé questi comportamenti dei fornitori di energia e gas non sono illegittimi. Infatti, l’Aeegsi (Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas) ha emanato numerose disposizioni a favore dei fornitori, dando loro strumenti senza precedenti per recuperare i loro crediti. A detta dell’Autorità, lo scopo è limitare l’impatto negativo del rischio creditizio sull’attività della vendita al dettaglio e, di conseguenza, sui prezzi praticati nei confronti di tutti i clienti finali e per lo sviluppo della concorrenza.
La realtà è un’altra, a nostro avviso. Anziché comportarsi come un organismo avente il compito di tutelare gli interessi dei consumatori, come previsto dalla legge 481/95, l’Autorità appare preoccuparsi di tutelare più che altro i fornitori di energia. Basti pensare ai rari ed esigui indennizzi previsti a favore degli utenti in caso di distacchi illegittimi delle utenze e altri comportamenti anche gravemente scorretti.
Nonostante l’evidente squilibrio delle tutele a favore dei fornitori di energia, questi ultimi riescono spesso ad abusare dei generosi strumenti di recupero del credito, utilizzandoli in modo illecito. Sembra quindi opportuno fare chiarezza su quali sono gli strumenti e le limitazioni che le norme mettono a disposizione dei fornitori per recuperare i loro crediti.
Nel caso si rinvenisse una violazione della normativa, si potrà presentare, in primo luogo, un reclamo scritto al gestore, che permetta di attestare l’avvenuto ricevimento. Il gestore ha l’obbligo di rispondere entro 40 giorni.
Se la risposta data dal gestore non è soddisfacente o se non arriva entro i 40 giorni, il passaggio successivo è il reclamo all’Aeegsi. Tutte le modalità per la presentazione del reclamo si possono trovare sul sito dell’Autorità.
Infine, se neanche il reclamo all’Aeegsi produce effetti, sarà necessario promuovere una causa presso giudice di pace o tribunale.

IL CMOR
Il CMOR (Corrispettivo MORosita’) e’ il sistema introdotto dall’Aeegsi in base al quale viene garantito un indennizzo al vecchio fornitore uscente di energia elettrica per l’eventuale mancato incasso del credito relativo alle fatture degli ultimi tre mesi di erogazione, prima del passaggio effettivo del cliente finale al nuovo fornitore. Può essere applicato solo in libero mercato, e non in regime di maggior tutela.
Il corrispettivo di morosità infatti può essere applicato alla fattura di energia elettrica del cliente da parte del nuovo gestore, in caso di morosità pregressa da parte del cliente stesso, ovvero del mancato pagamento delle fatture o parte di esse che contabilizzano consumi e oneri relativi agli ultimi tre mesi di erogazione della fornitura prima della data di effetto dello switching.
Il valore del CMOR corrisponde al valore minimo tra il valore del credito non pagato da parte del cliente relativo agli ultimi tre mesi di erogazione della fornitura e il valore medio degli importi fatturati con riferimento a due mesi consecutivi di erogazione della fornitura, a cui si dovrebbe sommare l’eventuale CMOR precedentemente non pagato.
Il sistema dell’indennizzo è stato introdotto per evitare il fenomeno del turismo energetico, ossia che clienti morosi potessero, cambiando gestore, impedire al vecchio fornitore di recuperare il credito dovuto.
Così facendo infatti il vecchio fornitore creditore non dispone dello strumento più efficace per tutelarsi, la sospensione della fornitura; con questo meccanismo il debito viene “passato” al nuovo fornitore che mantiene questo potere.
Fin da subito il meccanismo ha sollevato dubbi e critiche, poichè alcune volte il nuovo fornitore si prende carico del debito pur di mantenere il cliente che formalmente rimane invece debitore. Inoltre in alcuni casi di morosità gli importi sono oggetto di reclami o contestazioni per fondati motivi ed il cliente è comunque tenuto a pagare il Cmor.
Nel 2013 il Tar Lombardia aveva infatti annullato la delibera dell’Autorità, successivamente reintrodotta. Una recente delibera dell’Autorità dell’ottobre 2014, avvisa che è stato avviato il processo per la modifica e l’integrazione dell’attuale disciplina in materia di morosità.
Il vecchio fornitore può richiedere l’indennizzo in un periodo compreso fra 6 mesi e 12 mesi dalla data del passaggio, non prima per lasciare al cliente il tempo di saldare le ultime bollette dovute e non dopo per non allungare eccessivamente i tempi.
Di seguito le condizioni che devono verificarsi affinché il vecchio fornitore possa richiedere l’indennizzo:
Il cliente finale debitore è alimentato in bassa tensione;
Il cliente ha ricevuto la comunicazione della morosità, nella quale è specificata l’applicazione dell’indennizzo;
Il cliente non ha saldato il pagamento dovuto;
Il credito non sia riferito a corrispettivi per ricostruzione dei consumi in caso di malfunzionamento del contatore;
Il valore dell’indennizzo sia pari ad almeno 10 €.

‘Cattivi pagatori’: banche dati, rifiuto di attivare un’utenza o di passaggio ad altro gestore
Ad oggi non esiste una banca dati di cattivi pagatori che permette ad un gestore di rifiutare l’attivazione di un’utenza ad un ‘cattivo pagatore’. Nel 2012 l’Autorità era infatti arrivata a predisporre il funzionamento di un nuovo strumento il BICSE, “Banca dati relativa agli inadempimenti dei clienti finali nel settore energetico”, ma il progetto è tramontato nel novembre 2012. E’ però ricomparso nel ddl concorrenza recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, e potrebbe quindi essere introdotto nel prossimo futuro.
E’ invece concesso ad un gestore, anche di maggior tutela, rifiutare l’attivazione di un’utenza ad un cliente, se quest’ultimo ha ancora debiti nei suoi confronti. La delibera n. 156/07 dell’Aeegsi infatti recita: “Se un cliente “cattivo pagatore” che ha sottoscritto un contratto di mercato libero vuole rientrare nel servizio di maggior tutela e mantenere attiva la propria fornitura dovrà, al momento del rientro, pagare i debiti lasciati in precedenza. L’esercente la maggior tutela non è tenuto infatti a erogare un nuovo servizio di fornitura nei confronti di clienti che siano stati identificati in precedenti rapporti contrattuali con il medesimo operatore come “cattivi pagatori” fin tanto che questi ultimi non corrispondano gli importi di cui sono debitori (comprensivi dei corrispettivi dovuti per il servizio di fornitura maggiorati di eventuali interessi di mora e di un ammontare pari al doppio del deposito cauzionale previsto dalla normativa vigente)”.
Un utente viene considerato cattivo pagatore se non paga nel corso di 365 giorni di fornitura almeno 2 bollette anche non consecutive, purché:
per almeno una di esse sia stata tempestivamente avviata una procedura di sospensione della fornitura;
nessuna di esse contabilizzi corrispettivi per ricostruzione dei consumi in caso di già accertato malfunzionamento del contatore;
non sussistano crediti del cliente nei confronti del venditore per precedenti fatture non ancora liquidati dal venditore stesso;
il venditore abbia provveduto nei tempi previsti a fornire una risposta motivata a una eventuale richiesta di rettifica di fatturazione o a un reclamo inerente corrispettivi non pagati.
Infine, qualora un gestore ottenga la sospensione di un’utenza per morosità, durante il periodo di sospensione, l’impresa distributrice potrà rifiutare eventuali richieste del cliente di passaggio ad altro gestore.

L’interruzione della fornitura
Testo base della regolamentazione della morosità è l’allegato A) alla Deliberazione 25 gennaio 2008 (ARG/elt 4/08) e successive modifiche, relativo ai casi di morosità dei clienti finali disalimentabili, di inadempimento del venditore e dei clienti finali non disalimentabili.
Le modalità con cui il gestore può procedere al distacco della fornitura elettrica o di gas per morosità, per una bolletta pagata in ritardo, sono state modificate dalla Delibera 67/2013/R/COM del 21 febbraio 2013 “Disposizioni per il mercato della vendita al dettaglio di energia elettrica e di gas naturale in materia di costituzione in mora”. Tali nuove regole, riguardano per esempio l’obbligo dei gestori di inviare una raccomandata di messa in mora al cliente ritardatario prima di procedere al distacco della fornitura e di sollecitare e intimare il pagamento entro il termine di 20 giorni. Pertanto, se si è in ritardo col pagamento della bolletta, si riceve una raccomandata di messa in mora e si ha tempo 20 giorni per regolarizzare la fattura. Se non si procede al pagamento, trascorsi altri 3 giorni il venditore effettua la richiesta di sospensione della fornitura che per l’energia elettrica è immediata grazie ai contatori elettronici mentre per il gas il distacco avviene tramite apposizione dei sigilli sul misuratore del cliente moroso.
Per quanto riguarda l’energia elettrica, oltre alla sospensione della fornitura, è possibile per il gestore imporre una riduzione della potenza erogata. Questo è possibile grazie ai contatori di nuova generazione, che possono essere “telecomandati”. In questi casi il cliente finale si vedrà “saltare continuamente l’interruttore della luce”, e solo in caso di persistente morosità è possibile procedere al distacco dell’utenza da remoto.
Quando invece la fornitura non può essere cessata per morosità?
La fornitura non può essere sospesa per morosità se il cliente non è stato prima avvisato tramite raccomandata, se il pagamento è stato effettuato entro i tempi ma per cause non imputabili il cliente, gli estremi del pagamento non sono stati inviati al venditore, se l’importo da pagare è inferiore o uguale al deposito cauzionale, se la chiusura della fornitura cade in giorni festivi e prefestivi, di venerdì e sabato, oppure, se si tratta di un conguaglio o un importo anomalo per i quali il cliente ha presentato un reclamo scritto al venditore. In questo caso, infatti, il venditore è tenuto a rispondere per iscritto al cliente prima di poter procedere al distacco della fornitura per morosità.

Fornitura di ultima istanza
L’Autorità ha disciplinato, con la Delibera n. 418/2014/R/Gas, l’erogazione del servizio di ultima istanza (FUI) con la finalità di garantire la continuità del servizio di vendita del gas naturale per alcune tipologie di clienti finali prive, anche temporaneamente, di un fornitore per ragioni indipendenti dalla loro volontà.
Il servizio di fornitura di ultima istanza infatti si attiva quando un cliente rimane senza fornitore, ma resta collegato alla rete e continua a prelevare gas.
In questo caso, la fornitura di gas viene assegnata a uno specifico fornitore (il fornitore di ultima istanza “FUI”) selezionato dall’Acquirente Unico tramite una gara.
Tale servizio, la cui disciplina è stata modificata e perfezionata nel corso degli anni, consente di individuare un venditore che assume l’obbligo di garantire, senza soluzione di continuità, la fornitura di gas presso i punti di riconsegna per i quali viene attivato.
Trattasi di casi in cui si verifica una cessazione amministrativa del contratto per motivi diversi dalla morosità (es: fallimento fornitore) e quindi il cliente finale si trova senza un contratto di vendita valido per cause indipendenti dalla sua volontà.
Solo per i clienti finali non disalimentabili (es ospedali) il servizio può essere applicato anche in caso di situazioni di morosità per i quali, conseguentemente, non sono applicabili gli strumenti finalizzati alla sospensione della fornitura.
Il fornitore di ultima istanza deve operare totalmente secondo quanto stabilito dall’Autorità.
Il FUI entrante, entro 15 giorni dal subentro della fornitura, è tenuto a darne comunicazione al cliente finale.
Dopo il subentro del FUI è comunque garantita la facoltà al cliente finale di concludere un contratto di fornitura nel mercato libero secondo le modalità previste dalla Deliberazione 138/04 e dal Codice di Rete Tipo per la Distribuzione gas o dal Codice di Rete di Trasporto.
Nell’ambito dell’erogazione del servizio di ultima istanza il cliente non ha diritto alle prestazioni previste dalla disciplina della qualità commerciale e di tutela del consumatore adottata dall’Autorità.
I dati di ogni singolo PDR sono trasmessi al FUI dalla società di distribuzione o di trasporto competente per territorio.
La fatturazione del servizio avviene con cadenza stabilita dal fornitore di ultima istanza, secondo modalità semplificate (con evidenza, per esempio, del codice Punto di fornitura (PDR), periodo di fatturazione, consumi); saranno utilizzati, ai fini della fatturazione, i dati di misura rilevati dall’impresa di distribuzione o di trasporto e sarà garantita l’emissione di almeno una fattura per ciascun cliente servito ogni sei mesi.
Nel caso in cui i clienti titolari di PDR domestici, condomini domestici (con consumi inferiori a 200.000 Smc/anno) o servizio pubblico, non paghino almeno una fattura, ovvero non versino la garanzia eventualmente richiesta (deposito cauzionale), il FUI può chiedere all’impresa di distribuzione di procedere con la sospensione della fornitura.
Il servizio di fornitura di ultima istanza opera solo in un limitato numero di situazioni.
I casi in cui non sussistono i requisiti per l’attivazione del servizio sono schematizzabili in modo seguente:
il punto di riconsegna non rientra tra quelli che hanno potenzialmente diritto al servizio di fornitura di ultima istanza (grandi clienti);
indipendentemente dalla tipologia del punto di riconsegna, la causa della risoluzione contrattuale non ne consente l’attivazione (la cessazione amministrativa è stata richiesta con riferimento a motivi legati alla morosità).
Per la morosità del settore gas, invece, è stato adottato un sistema diverso.
L’Esercente che non riceve il pagamento delle proprie fatture, dopo una serie di solleciti e adempimenti formali di messa in mora, richiede l’interruzione della fornitura al gestore della rete (Distributore). Se questi non riesce ad interrompere l’utenza perché il contatore è ubicato in proprietà privata, l’Esercente può chiedere il passaggio d’ufficio dell’utenza (cede il contratto) ai c.d. Servizi di Ultima Istanza (FUI e DEFAULT).
I consumatori finali che rientrano in questi casi dovrebbero essere disalimentati, tuttavia non sempre è materialmente possibile realizzare la predetta disalimentazione, almeno contestualmente al termine da cui decorrono gli effetti della cessazione amministrativa. Ciò nonostante, il cliente finale continua ad essere in condizione di prelevare materialmente gas dalla rete, senza averne più titolo.
Pertanto l’Autorità ha istituito un ulteriore servizio.
Il servizio di default nasce nel 2012 per quanto riguarda le morosità dei clienti finali. Viene attivato dal distributore territorialmente competente al verificarsi di alcune situazioni particolari, a seguito delle quali un cliente si trova senza fornitore, pur restando connesso alla rete e potendo perciò continuare a prelevare gas.
In tal caso la fornitura di gas viene trasferita ad un fornitore selezionato ogni anno attraverso gara per la gestione di tali casi (appunto il fornitore di default), che opera secondo quanto stabilito dall’Autorità, anche per quanto riguarda le condizioni economiche da applicare (che variano a seconda del motivo per cui è stata attivata l’opzione in default).
Se per la fornitura è stato attivato il servizio di default si riceve una lettera con cui la società comunica l’attivazione del servizio e le relative condizioni.
E’ importante sapere che tale servizio è solo temporaneo e dura 6 mesi, o comunque fino a che non si sottoscrive un nuovo contratto per la fornitura di gas o non si richiede la disattivazione della fornitura o decorso il termine di 6 mesi dall’attivazione del servizio.
Pertanto, qualora vi siano utenti che si trovino in una delle condizioni suesposte, quelli elencati saranno gli strumenti che i fornitori utilizzeranno al fine di recuperare i loro crediti. Tali strumenti dovranno tuttavia essere necessariamente contemperati con il rispetto di quelle minime prescrizioni che la normativa impone a tutela degli utenti.

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Responsabilita’ medica: per l’errore del medico generico, paga anche l’Asl

Con una recente sentenza, la Cassazione ha stabilito il seguente principio di diritto: “la Asl è responsabile civilmente, ai sensi dell’art. 1228 c.c. del fatto illecito che il medico, con essa convenzionato per l’assistenza medico generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa ove resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita dal S.S.N. in base ai livelli stabiliti secondo la legge”. La pronuncia è estremamente importante perché riconosce la responsabilità diretta del medico generico e, per il suo tramite, dell’Asl, e lo fa in virtù della stessa legge istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale e dei LEA. Queste normative creano un’obbligazione ex lege dell’Asl e, quindi, un diritto dell’utente, che ne è creditore.
I fatti
I ricorrenti hanno agito nei confronti dell’Asl e del medico generico perché questo, chiamato la mattina per sintomi di ischemia cerebrale, si recava in visita soltanto il pomeriggio e disponeva cure inadeguate in base ai sintomi. Il paziente rimaneva paralizzato.
In primo grado il Tribunale condannava il medico generico in ragione del comportamento colposo e l’Asl in solido. Entrambi impugnavano la sentenza. La Corte d’Appello accoglieva il gravame dell’Asl, rigettando quindi la domanda risarcitoria dei danneggiati nei suoi confronti, poiché questa avrebbe assunto soltanto un obbligo di organizzazione, e non anche obbligazioni dirette nei confronti del paziente, ed altresì per l’assenza di rapporto di subordinazione del medico, sul quale l’Asl non avrebbe potuto esercitare alcun potere di vigilanza e controllo; confermava, invece, la condanna del medico. Avverso tale sentenza, proponevano impugnazione gli eredi del danneggiato per violazione degli artt. 1228 e 2049 c.c..
La sentenza.
La Corte di Cassazione osserva che la legge istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale (l. 833 del 1978) ha stabilito che vi siano “livelli di prestazioni che debbono essere, comunque, garantiti a tutti i cittadini” (art. 3) e, tra questi, vi è l’assistenza medico-generica, che individua come specifico compito attribuito alle Unità Sanitarie Locali (art. 14, comma 3, lett. h)). In forza di queste disposizioni, le Usl provvedono ad erogare l’assistenza medico-generica in forma domiciliare, tramite il medico generico, ed ambulatoriale, assicurando i livelli di prestazione stabiliti dal piano sanitario nazionale. Tale servizio costituisce un diritto dei cittadini, i quali scelgono il personale, sia in ambito ospedaliero, che nel territorio del Comune di residenza attraverso l’individuazione di un medico di base, convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale. La scelta del medico generico avviene, quindi, nei confronti dell’Usl; il medico scelto è tenuto a prestare l’assistenza medico-generica in quanto convenzionato ed in forza di tale rapporto. Questa configurazione non è mutata con l’introduzione delle Asl, che sono dotate di maggiore autonomia: l’assistenza medico-generica è rimasta tra le competenze principali e spetta loro provvedere a garantire i livelli uniformi di assistenza nel proprio ambito territoriale (art.1, d. lgs. 502 del 1992). Il vincolo dei medici generici all’Asl, espresso nella convenzione, si evince anche dal rapporto economico fra i due soggetti: questi percepiscono remunerazione non da parte dell’utente, ma esclusivamente dalla Asl (finanziate, di fatto, dalla fiscalità generale).
Si configura, pertanto, un’obbligazione ex lege per l’Asl di prestare l’assistenza medico-generica nei confronti dell’utente. Questa viene adempiuta mediante l’attività del medico -nel caso specifico non dipendente, ma convenzionato col S.S.N., che assume carattere di rapporto “parasubordinato” perché, pur essendo autonomo, si caratterizza per una prestazione d’opera continuativa-. L’obbligazione non deriva da contratto e, pacificamente, neppure da fatto illecito, ma da “altro atto o fatto” di cui all’art. 1173 c.c..
Per la fase patologica del rapporto, la disciplina è quella degli art. 1218 e ss. e 1228 c.c.. La responsabilità contrattuale dell’Asl deriva direttamente dall’obbligazione originaria che lega il S.S.N. e l’Asl all’utente finale.

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